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LA CANZONE DI CARLA
(CARLA'S SONG)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 dicembre 1996
 
di Ken Loach, con Robert Carlyle, Oyanka Cabezas, Scott Glenn (Gran Bretagna, 1996)
Strano, poiché di solito i cineasti (soprattutto i più grandi, come Ken Loach) non amano ripetersi. Lasciarsi incollare delle etichette; oppure riprendere, di film in film, il medesimo schema costruttivo; o lo stesso genere, il tono, il concetto produttivo. Poiché ne va di mezzo la qualità più fragile, più preziosa della propria vena creatrice: quella che crea la sorpresa, la meraviglia, il piacere d'inventare.

Eppure è innegabile il fatto che CARLA'S SONG abbia molti punti in comune con il precedente LAND AND FREEDOM. Stessa costruzione con un personaggio che lascia la Gran Bretagna per partire all'estero. Stesso desiderio di passare dalla politica "piccola" dell'osservazione sociale quotidiana e domestica a quella internazionale, appartenente alla storia "grande". Stesso realismo sociale - intimo, accurato, ineguagliabile come può esserlo quello dell'autore di KES e di LADYBIRD - che tenta di trasformarsi in affresco storico ed in cronaca politica. Stesso viaggio di un personaggio, attraverso i sentimenti, eventualmente l'amore, verso la ragione, la presa di coscienza: per constarne l'utopia, la perdita dell'illusione. La manipolazione da parte di una legge eterna, governata da gente più forte della migliore delle nostre intenzioni, tragicamente immutabile nei tempi: è quella che governa la sequenza del funerale finale di LAND AND FREEDOM. La medesima che impone la sola decisione possibile allo splendido protagonista di CARLA'S SONG (l'ennesimo attore che-recita-come-respira della tradizione inglese, Robert Carlyle): tornarsene (certo, con una coscienza rafforzata) a casa.

La prima parte di CARLA'S SONG, il lungo apprendistato (amoroso, ma soprattutto civile) di George, lo spensierato autista di bus di Glasgow quando incontra la disperata quanto accattivante Carla del titolo - l'esule politica, ancora marcata nella carne dalle frustate dei Contras nicaraguensi- appartiene alla grande tradizione di Loach. A quanto gli riesce con facilità meravigliosa: dei personaggi comuni e naturali, ed al tempo stesso sorprendentemente poetici, dei luoghi estremamente veri, ma che la leggerezza della cinepresa di Loach rende esemplari ed unici, delle occasioni quanto più quotidiane (il lavoro, la famiglia, il vicinato, la strada, il pub) che l'autenticità del linguaggio, la precisione dello sguardo, l'umanità di chi sta dietro a questo sguardo rendono infinitamente preziose. Siamo insomma dalle parti di RAINING STONES e di RIFF-RAFF: l'umorismo discreto che addolcisce la realtà più urgente, quella del cineasta formatosi alla grande tradizione documentaristica. Piuttosto che da quelle di LADYBIRD, di LOOKS AND SMILES: più apertamente drammatici e polemici.

C'è quindi una seconda parte di CARLA'S SONG. Ed è quella del Loach di HIDDEN AGENDA, di FATHERLAND e di LAND AND FREEDOM: quella della vena più esplicita, politica, internazionalista, militante.

Non è necessariamente la più riuscita di Loach: quando vuol spiegare, quando vuol inserire in un contesto storico ufficiale, la sua naturalezza sembra sparire come per incanto. Se nella guerra di Spagna di LAND AND FREEDOM la scansione si notava di meno era perché Loach riusciva a trasportare "all'estero" alcune delle sue doti ineguagliabili di osservazione: si pensi alla discussione a ruota libera fra gli antifascisti del Fronte Popolare, colti con straordinaria libertà, con una verità che immediatamente spediva la finzione ai confini del documento.

Ma qui la discussione con i contadini liberati dai sandinisti è dettata e schematica; un po' come tutta la parte girata (dal vero...) in Nicaragua. L'esotismo dell'incontro con i tropici, l'impatto con la realtà della guerra, il ritratto dei personaggi che popolano quella realtà instabile è altrettanto generoso dell'aria di casa: ma infinitamente più laborioso e pensato, se non proprio accademico.

Certo, rimane il coraggio, la lealtà insostituibile di una militanza che ha pochi riscontri nel cinema non marginalizzato (come è ormai diventato quello di Loach) in circolazione. Ma è un fatto che è un intervento infinitamente più efficace, poiché genuino, quando non si avventura fuori dai propri confini.


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